giovedì 23 maggio 2019

Ingegnere napoletano inventa macchina del tempo

Stiamo assistendo in questi giorni ad un esperimento sociale involontario.

Qualche giorno fa si è chiuso il Convegno Nazionale AIIC, che si è tenuto quest'anno a Catanzaro, all'interno del quale si è svolto l'HTC (Health Technology Challenge). Il Challenge è una forma più soft (rispetto ai canali di letteratura scientifica tradizionale) di condivisione dei progetti, che come AIIC, abbiamo deciso di adottare perché si cercava qualcosa che potesse coinvolgere anche i non addetti ai lavori. L'HTC non ha mai avuto la pretesa di accreditarsi per aumentare l'impact factor di un lavoro, ma piuttosto di proporsi come un sistema di sharing delle idee, in modo che si potessero creare anche gruppi di lavoro allargati intorno ad un progetto, per portarlo magari proprio a quel livello di rigore scientifico necessario per diventare poi una pubblicazione. E' anche per questo che al Challenge sono accettati lavori in corso di svolgimento, ancora senza conclusioni e risultati reali. 

Quest'anno il premio è andato a Michela e Federica, due ingegnere biomediche di Napoli. Michela è dirigente presso l'IRCSS Pascale di Napoli e Federica è una studentessa del corso di laurea di Ingegneria Biomedica della Federico II che ha collaborato con Michela per il suo lavoro di tesi, che è stato poi presentato, in sintesi, all'HTC.

Cosa è successo.
AIIC, come sempre, ha fornito un comunicato stampa al termine del Challenge (http://www.aiic.it/index.php/2019/05/20/htc-2019/) nel quale scriveva che le vincitrici "[...] hanno verificato l'efficacia di un protocollo per poter garantire una buona qualità di immagini da una Tac [...]". Che è esattamente quello che hanno fatto Michela e Federica.

Purtroppo, in un mondo che ha fatto della velocità di fruizione dei contenuti il suo modello comunicativo principale, e nel quale qualsiasi post che abbia più di 3 righe (compreso questo) non viene letto da nessuno (a parte il titolo, che per questo ho scelto volutamente provocatorio), non è possibile controllare la diffusione delle notizie: si è scatenato un fenomeno enorme di ingigantimento della notizia.



Probabilmente i giornalisti, nel tentativo, sicuramente un po' goffo, di rendere da un lato la notizia più comprensibile a chi non mastica questi argomenti, e dall'altro di acchiappare qualche click o qualche condivisione, in un misto di ignoranza e ingenuità, hanno avviato un effetto a valanga incontrollabile e imprevedibile. Michela e Federica, dall'avere inizialmente "valutato un protocollo", sono passate prima ad "aver inventato un algoritmo che dimezza la dose", poi addirittura ad "aver progettato una TAC con dose dimezzata". Senza tra l'altro avere nessuna colpa in questa deriva folle.

Di sicuro, ad alimentare il tutto, sono stati anche i tanti utenti social, amici e colleghi delle due ingegnere, che spesso condividono "a simpatia", senza approfondire troppo l'argomento. Del resto nessuno si sarebbe mai aspettato l'eco mediatica che ha subito la notizia. Per chi la conosce (come me), la stima per Michela è assoluta, e paradossalmente questo ha amplificato l'effetto.
Addirittura ben due ministri hanno riproposto la bufala (e mi chiedo davvero chi lavori nei loro staff a fare un minimo di fact checking).



Sta di fatto che le povere Michela e Federica si sono trovate, loro malgrado, in un vortice mediatico violentissimo che le ha sicuramente più imbarazzate che giovate.
Tanto che il 21 mattina, Michela e Lorenzo Leogrande, presidente AIIC, sono andati in onda su Sky Tg 24 a riportare la cosa sul binario del buon senso e della normalità.


Dispiace davvero, in tutto questo, che qualcuno abbia voluto approfittare della cosa per ribadire l'ovvio, anche con toni inutilmente cattivi verso Michela, Federica, l'AIIC e gli ingegneri clinici. Informarsi un po' prima di parlare non fa davvero mai male. Quello che ho colto, forse sbagliando anche io, è stato il tentativo di cavalcare l'onda mediatica avuta dalla cosa, sperando di trovare cinque minuti di celebrità.


Ai cugini e stimatissimi colleghi fisici medici vorrei inoltre rivolgere un appello: vedere messa in discussione la vostra professione da questa storia è stato secondo me un errore di valutazione. La vostra è una professione le cui attività sono definite da precise leggi e norme. Non sarà una tesi di laurea a sminuire o offuscare l'immenso lavoro che c'è dietro le unità di fisica medica e dietro quella del lavoro degli esperti qualificati. L'eccessivo clamore di una notizia falsa ha dato sicuramente fastidio, ma ha dato fastidio principalmente a noi ingegneri clinici, ve lo assicuro. Tra ingegneri clinici e fisici medici, dopo qualche screzio in passato, erano anni ormai che si andava davvero d'accordo, organizzando anche alcuni eventi insieme. Approfittiamo di queste occasioni per confrontarci, non per litigare.

Come sempre le precisazioni hanno meno diffusione delle fake news, quindi non ripongo molte speranze che questo mio messaggio raggiunga lo stesso numero di persone della bufala. Speriamo almeno raggiunga i principali addetti ai lavori.

4 commenti:

  1. Grazie Gianluca. Un po' di buonsenso aiuterebbe a fare sharing delle esperienze, invece di inutili e improficue lotte intestine tra chi dovrebbe avere un unico obiettivo: contribuire all'avanzamento della conoscenza.

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  2. Ora però sarebbe il caso di rispondere anche a questo:

    http://www.panoramasanita.it/2019/05/22/tac-con-radiazioni-dimezzate-una-non-scoperta-in-uso-da-10-anni/

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  3. Due giorni dopo questo articolo, l'Associazione Nazionale Fisica Medica ha dimostrato di non aver gradito lo sconfinamento nel loro campo professionale da parte di altri professionisti che sembrano cercare visibilità attraverso la verifica dell'operato dei Fisici Sanitari:
    https://www.fisicamedica.it/associazione/rassegna-stampa/laifm-caccia-di-bufale

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