mercoledì 1 aprile 2015

You are not your job!

E' di questo periodo il gran discutere del libro della giornalista del Washington Post, Brigid Schulte sui cosiddetti overwhelmed, i perenni indaffarati che non hanno mai tempo.



Leggevo un articolo su Linkedin proprio qualche giorno fa. "Dovremmo smettere di lamentarci di non avere tempo di fare le cose e semplicemente cominciare a farle", recitava parte dell'articolo. Nella lettura di questo, così come di altri articoli simili, non nascondo di aver provato un certo fastidio. Quel fastidio che deriva dalla sensazione di riconoscersi in qualcosa di sbagliato e di provare a giustificarsi facendo dei distinguo o cercando degli alibi.
Ma inutile tergiversare troppo, è così. Io mi ritrovo ad essere uno di questi famigerati overwhelmed. Tuttavia spero di essere almeno uno di quelli consapevoli del proprio "disturbo". Chi frequenta il mio ufficio sa che ho sempre sottomano il libro di David Allen sul GTD: perché la mia perenne mancanza di tempo è sicuramente dovuta anche alla mia incapacità di gestirlo bene.


In ogni caso, nonostante cerchi di recuperare strada con la teoria, è la pratica a fregarmi. Spesso ho illustrato ad amici alcune delle tecniche di organizzazione del tempo: ad esempio amo la teoria delle quote nella definizione delle priorità, ma purtroppo spesso mi ritrovo a non riuscire io stesso a evitare di "razzolare" male, nonostante le mie belle prediche. 

Ok. Dopo essermi quindi comodamente accomodato dalla parte del torto (dove mi trovo sempre un po' più a mio agio), vediamo però se qualche attenuante la riusciamo a tirare fuori, magari parlando anche un po' di ingegneria clinica, per non fare un torto al blog.
Io lavoro a Napoli, in Campania quindi, dove, secondo me, è arrivato un messaggio un po' distorto ad alcune aziende ospedaliere e sanitarie: invece della necessità di strutturare dei Servizi di Ingegneria Clinica, si è pensato di risolvere il problema reclutando in giro delle figure mitologiche, che messe da sole dietro ad una scrivania, siano (teoricamente) in grado di risolvere la maggior parte dei problemi inerenti le apparecchiature biomediche. Si è pensato quindi che l'Ingegnere Clinico, potesse da solo svolgere il lavoro che altrove (e in modo sano e produttivo) viene svolto da un Servizio di Ingegneria Clinica. Abbiamo quindi degli inconsapevoli protagonisti di one-man show che, anche se da un lato affascinano lo spettatore che si chiede come sia possibile per una sola persona svolgere tutto quel lavoro, dall'altro nascondono la triste realtà che il livello di servizio erogato è inevitabilmente basso. Io amo dire: "Facciamo tutto, male".


Siamo quindi overwhelmed, ma in qualche modo predestinati ad esserlo, non per scelta. E' probabile che alla fine, qualche volta, sia quasi inevitabile il piangersi addosso, così come sarà sicuramente vero che qualcuno ne farà uno status sociale, diventando in qualche modo dipendente dal suo affogare nelle carte, ma un'altra verità è che grandi alternative a tutto questo ce ne sono poche. Il mio Direttore Generale, durante un evento svoltosi nel dicembre scorso, riportò un dato inquietante: dal momento della costituzione della nostra nuova azienda (1 gennaio 2011) avevamo perso 800 unità di personale per pensionamento. Nella maggior parte dei casi, unità non reintegrate (a causa del famigerato blocco del turn-over, derivante dal fatto che la Regione Campania è una regione sottoposta a piano di rientro dal MEF). 800 unità per un'azienda che oggi ne conta circa 2000 ne rappresentano una fetta davvero consistente. E andrà sempre peggio.

Ribadendo quindi che migliorare la gestione del proprio tempo è probabilmente possibile nella stragrande maggioranza dei casi, me assolutamente compreso, non vorrei che però l'etichetta dei "falsi indaffarati" fosse l'ennesimo pretesto per cercare di spremere ancora di più chi è già quasi al limite della sopportazione, dando al tempo stesso un alibi al blocco delle assunzioni.
Se il discorso degli overwhelmed serve a togliere schizofrenia in alcuni contesti, restituendo dignità, oltre che tempo libero, alle persone, io sono in prima fila. Se invece, e lo dico da tecnologo e innovatore, siamo all'esasperazione del paradigma dell'any a tutti i costi, ossia anytime, anywhere with any device applicato al mondo del lavoro, la cosa mi fa un po' di paura. Anche perché ritengo che alla fine identificarsi esclusivamente con il proprio lavoro, sia davvero molto deprimente per un essere umano. Il lavoro dovrebbe essere il mezzo con il quale contribuisci al benessere collettivo, per fare in modo che nel tuo tempo libero il lavoro degli altri contribuisca al tuo. Voglio lavorare, anche sodo, anche bene, ma per poi poter andare al cinema a godermi un grande film. Per poi poter leggere un bel libro, per ascoltare bella musica. Per viaggiare, per fare sport. Per fare tutte quelle cose che alla fine formano, insieme al lavoro, la mia vita. Da qualche mese campeggia nel mio ufficio un foglio che riporta uno dei monologhi di Fight Club, quello che inizia con "You are not your job".



Magari non siamo la canticchiante e danzante merda del mondo, ma ogni tanto ricordiamoci che c'è vita anche e soprattutto fuori dai nostri uffici.

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